Il
filosofo francese Jean Luc Nancy possiede il merito indiscusso di
avere innestato il medium
della relazione nel corpo della filosofia. Nancy è stato capace di
inventare
un’ontologia plurale che non invoca la pista etica della cognizione
dell’altro, già battuta da innumerevoli filosofi contemporanei,
bensì insiste in un contesto eminentemente ontologico entro il quale
l’Essere coincide all’origine
con la pluralità degli enti; esso è l’entità sensibile
della polivocità della cosa corporea.
Per fare ciò il pensiero di Nancy riprende la prospettiva Singolare dell’individualità inaugurata da Nietzsche e da Deleuze, ma complica la rete dei soggetti coinvolgendo, ab initio, gli intrecci dell’essere gli uni-con-gli-altri nell’innesto ontologico tra l’Individuum/sum e la molteplicità originaria del con-essere: l’individuo spartisce la propria estensione con altri, è coinvolto per essenza nel viluppo della relazionalità.
Verosimilmente, Nancy ha inteso raggiungere una nuova estensione della filosofia muovendo dal tentativo già percorso (da Nietzsche e Heidegger su tutti) di superare l’ontologia classica. Nancy nondimeno delinea una nuova dimensione dell’Essere afferrato in relazione ai sensi come singolarità comune e concreta, plurale e individuata. In tal modo la disposizione filosofica dell’Essere Singolare Plurale1 coincide con la concrezione apriori della socialità pre-politica dell’Essere-Con2.
All'opposto, la manenza irrelata dell’Essere inteso al singolare simulato della metafisica classica, produceva (si pensi alla filosofia Prima aristotelica) una dynamis interna all’ente individuato intrisa di unicità. L’ente svincolato dalla relazionalità sussisteva in un tempo solitario, in uno spazio chiuso, astratto e trascendente rispetto alla varietà della vita. Da Aristotele a Spinoza, fino a Heidegger, il percorso dell’ontologia sostava nel rapporto differenziale, perciò non paritetico, tra essere e ente senza mai accendere la miccia dell’immanenza relazionale entro le maglie dell’Essere stesso: questo possedeva tante facce, ma era uno: principium individuationis. Per valicare l’ontologia classica Nancy considera innanzitutto indispensabile congedare il concetto di individualità della singolarità, ossia l’idea di un individuo unico e irripetibile, indiviso perciò sciolto da ogni legame effettivo con l’altro. Tale modello di individualità propone post hoc, quale suppletivo del soggetto unico, il concetto astratto di comunità. La collettività comunitaria risolve a tutt’oggi il legame di interconnessione tra i soggetti senza spiegare l’essenza stessa della relazione pluralistica dell’essere al mondo3. Ma Nancy oltrepassa la scissione primaria tra individualità e relazionalità, così come si predispone nella communitas intersoggettiva, percorrendo la via della simultaneità ontologica tra gli Esseri. L’incontro primario tra gli enti sensibili, singolari eppure plurali, marca la soglia di questo passaggio trasfuso dall’ontologia astratta comunitaria all’Essere Singolare. Nancy pensa l’essere come sensibilità, in maniera del tutto analoga alle forme naturali che sussistono tutte nello stesso tempo senza cadere nel laccio dell’astrazione logica4. La connessione reticolare tra l’Essere e le sue molte voci5 è tuttavia possibile dacché lo spazio ontologico, costituito dal corpo sensibile, succede al tempo astratto della riflessione (della quale il “senso comune” è la ratio emblematica), così come la singolarità-concetto all’idea.
Un discorso sull’essere come Nancy lo ha generato deve allora collocare l’Origine dell’ontologia plurale nell’estensione (invece che nel tempo) e considerare la spazi-azione originaria degli enti. In essa ciò che sussiste è già espressione del coinvolgimento che distacca l’Essere dal suo ambiente e, unitamente, un’emersione paradossale di Singolarità estratta da un fondo comune6.
L’Essere nella sua tangibilità produce da sé la coesistenza tra le sue pluralità. Tale molteplicità corporea possiede un’effettività che enuncia la sua immane ambiguità. La forma sensibile è infatti esposta e correlata a un tutto che consta, senza sosta, di innumerevoli parti: l’Essere rifugge la totalità compatta dell’unicità e si accasa nella forma positiva della sua presentazione. In tal modo l’essere rassomiglia, anzi coincide con l’immagine, pura esibizione artistica di forme che non si dissolve mai in un rappresentazione generale. L’ontologia di Nancy incontrando l’immagine si fa estetica, arte di posizione e insieme postazione unica per l’essere, coinvolto nella pluralità delle sue parti.
Il fenomeno di presentazione dell’Essere coinvolge al contempo lo stile del pensatore. Il concetto implica la pagina, le parole si danno richiami tra loro, evocandosi a vicenda. La scrittura rifà i suoi concetti avviandoli alla presentazione di se stessi. L’estensione della Singolarità sulla scrittura schiude l’involucro dell’individualità soggettiva inaugurando la via della Singolarità plurale. Essa scaturisce da un Essere che è già, in sé, relazione con le sue innumerevoli parti, polivocità, cozzo correlativo di forze.
Il passo leggero del concetto in mostra, inaugurato dal toucher7 della filosofia, apre il pensiero alle plaghe morbide dei sensi, delle sinestesie, del tocco reciproco tra le immagini. Queste rimangono singole concrezioni che si collocano nella trama della scrittura senza concedere nessuno spazio al dispiegamento analitico dei concetti.
L’ontologia estetica di Nancy appare come l’arte di posare il concetto sulla tela della pagina8. Il linguaggio astratto della filosofia afferra la traccia plurale delle parole per una produzione artistica del senso. I sensi invocano i segni: ecco la pluralità delle arti.
Il pensatore che prima di Nancy ha avviato la pista delle singolarità, fabbricando uno stile filosofico plurimo e complesso, è stato senz’altro Gilles Deleuze, padre delle Anarchie incoronate e delle Singolarità preindividuali e impersonali.9
Nancy edificando la sua ontologia sensibile ha certamente afferrato il senso delle Singolarità preindividuali e impersonali di Deleuze. Le differenze tra i due pensatori in merito al concetto di Singolarità restano tuttavia cospicue. Deleuze, sulla scorta di Nietzsche e della sua visione Prospettica del soggetto, ha tentato di destituire la soggettività e spodestare dal trono della filosofia l’Essere stesso. Nancy viceversa, attraverso il concetto di singolarità plurale, ha inteso rimettere in movimento la portata eccentrica dell’individualità, tentando di fare parlare l’Essere al plurale. Il soggetto si mette a enunciare le molte voci dell’Essere che è.
Nancy, ancora, muovendo oltre Heidegger e la sua Storia dell’Essere intende subordinare l’Origine ontologica alla forza viva della pluralità desiderando che la natura polivoca dell’ontologia sia ammessa al pensiero anteriormente a ogni progetto filosofico anche solo nominalmente pluralista. Con una boutade: per Nancy, come pure per Aristotele e Heidegger, viene prima l’ontologia poi la filosofia. La prima deve essere capace di fondare una pista etica, estetica e politica. Senza il ripasso ontologico al crivello stereoscopico della molteplicità sensibile l’Essere Singolare Plurale non esisterebbe. Eppure la disamina ontologica di Nancy trova ricetto presso l’estetica come in nessun’altra regione della filosofia. L’Essere Singolare Plurale che ha trasposto l’ontologia fuori nella coimplicazione originaria che rimette l’Essere alla sua pluralità, abita le Immagini. Queste sono produzioni ed esteriorizzazioni della cosa, esposta nella sua pura esibizione, per questa ragione, incapace di uscire del tutto dalla propria cornice materiale e figurata10.
L’immagine sosta nella sua esteriorità, appare. L’arte in qualità di forma conchiusa è capace di comporsi nello spazio emblematico della forza correlativa tra figura e fondo della tela, tra apparizione e auto-espressione; alla stessa maniera si effettua anche l’Essere Singolare Plurale che compare solo co-apparendo agli altri e a se stesso. La manifestazione dell’Essere Singolare plurale copia l’immagine:
La comparizione come concetto dell’essere-insieme consiste nell’apparirsi: cioè nell’apparire in un sol tempo a sé e agli altri. Si appare a sé solo apparendo gli uni agli altri […], dovremo dire che si appare a sé nella misura in cui si è già un altro per sé11.
Prima della dislocazione esposta della faccia l’Essere non sarebbe visibile. L’Essere Singolare insiste, ab initio, sul suo essere visto persino da se stesso. Tale mostrarsi a sé che si esibisce è peculiare delle arti. L’opera d’arte esiste nella sua esposizione e si dona allo sguardo dello spettatore. La trasfusione del “senso dell’Essere” nell’arte, che consiste di innumerevoli spiazzamenti e spazi-azioni del significato, prelude all’incanto ontologico dell’Essere Singolare Plurale. Questo è intimo e esposto nello stesso tempo, esibito e racchiuso nella sua forma, nella sua finitezza, nondimeno aperto alla pluralità dei segni e degli sguardi, delle prospettive di sfondamento della rete corporea dell’Opera. Giacché è peculiare delle arti il fatto di rimandare oltre se stesse, al loro concetto singolo, l’Arte, ma al contempo la loro capacità di restare fisse nel raccoglimento in un oggetto, in un’unica immagine in opera. Tale mostra in una forma concreta accende la spirale dell’interpretazione senza, tuttavia, sospendere l’interezza della forma. L’opera d’arte si correla alle sue possibili impressioni sugli occhi dello spettatore sussistendo, malgrado ciò, nella sua forma originaria.
Ancora. L’atto interpretativo avviato dallo spettatore dinanzi all’opera d’arte indecidibile, esposta allo sguardo, attesta la manenza della configurazione inafferrabile che rimanda a un interiorità irreperibile, cava nel suo splendido annuncio di sé.
Plausibilmente l’ermeneutica dell’oggetto d’arte cozza con la resistenza dell’immagine che rilutta a ogni spiegazione rimettendosi sempre alla sua solida ambiguità: non esiste alcuna interpretazione se prima non urta l’opera, poiché da questa si stacca l’ombra del senso invasiva e avversa a qualsivoglia opinione individua. Piuttosto, il meccanismo interpretativo suscitato dall’esposizione fa affondare l’interprete nella visione dell’immagine obbligandolo a restare implicato nella singolarità dell’opera d’arte. Lo spettatore osservando l’immagine si ibrida con Lei restando implicato in un concerto di molteplici percezioni, in un fascio di figurazioni che non appartengono né a lui né all’oggetto, sono invece le rivelazioni simultanee delle trame del con-essere.
Per Nancy l’estetica, intesa come milieu del legame mimetico tra arte e filosofia, è pertanto il dispositivo di creazione di spazi corporei alle immagini, è la disciplina ontologica par excellence poiché concede la possibilità che ogni singola opera emerga in uno spazio di dis-locazione originario che la co-involge in una pluralità coessenziale alla sua nascita. Specularmente lo stesso fenomeno di spiazzamento e di dislocazione accade in chi guarda, avviando lo spettatore verso un’obiettivazione dell’occhio che affonda nell’intimità della visione e vi si perde12.
L’ontologia, laddove incontra l’estetica, è in grado di movimentare l’Essere per le sue produzioni nella creazione continua di apparenze.
L’ontologia plurale in divenire concerne, dunque, il binomio inscindibile arte/tecnica, implicando il concetto di invenzione dei soggetti come delle opere:
[…] “creazione” deve allora svelarsi come tecnica del mondo. Ma “tecnica del mondo” può essere solo intesa al plurale delle tecniche che non hanno né un momento originario di un fiat né quello finale di un senso. Non appena si disfa come concetto sui generis (dunque come concetto autodistruttore) la “creazione” apre sul singolare plurale dell’arte. Ovvero, l’«arte» è il nome, forse ancora provvisorio, del suo singolare plurale.13
Nel pensiero di Nancy il primato della creazione artistica possiede un carattere intrinsecamente connesso alla manenza dell’oggetto d’arte: non è solo l’artista a creare l’opera d’arte e a statuirne il senso, bensì l’oggetto stesso, capace di esibire in completa autonomia una potenza capace di innescare l’interpretazione plurale degli spettatori. È l’ermeneutica dell’opera d’arte, così come essa è percepita dallo spettatore che vi si espone, a produrre l’ontologia dell’Essere Singolare Plurale. Giacché l’essenza dell’arte è resistenza all’interpretazione che accende l’interpretazione, così come l’Essere Singolare Plurale è rete di senso che coinvolge la totalità delle singolarità senza perdere in individualità. Non v’è patrimonio soggettivo nell’arte. L’arte stessa è Soggetto (che muta il concetto di individuo, che inventa una nuova ontologia).
La pista dell’estetica è dunque la via regia per la nascita di una nuova soggettività pensata come Singolarità esposta, opera d’arte:
Nell’immagine o come immagine, e soltanto così, la cosa – sia essa una cosa inerte o una persona – è posta in soggetto: essa si presenta14.
È evidente allora che tra arte e soggetto non sussiste un legame meramente causale, come tra creatore e creatura. Arte e singolo sono invece presentazioni in Soggettiva dell’arte, immagini eidetiche del tracciato singolare dell’ontologia plurale.
Nancy monta ontologia e estetica realizzando un’ontoestetologia. Questa include entro le maglie dell’Essere oggetti che non sono enti, cose che non sono eterne, pensieri che non sono trascendenti, soggetti che non sono autocoscienti: l’ontologia plurale come estetica delle cose tecniche e delle produzioni è la traccia di una nuova storia dell’Essere, plurima, polivoca, mostrologica15.
D’altra parte la sfida dell’arte, il monstruum che fa da monito, concerne la natura puramente creatrice (senza creatori) dell’immagine che spazia/spiazza ininterrottamente il senso in immagini. Il divino insistendo sull’immagine, senza rimandare più ad una teologia della forma, inaugura il culto dei travestimenti e delle copie, il rito complesso della religione delle parti, delle Singolarità-in-Opera. L’arte dell’Essere ossia l’ontologia estetica, escogita una sinfonia plurale delle invenzioni autopoietiche. Gli artifici sono effetti della gerarchia orizzontale delle forme senza contenuto, delle apparenze senza intimità, rassegne e effigi delle Singolarità.
La tecnica dell’arte non conosce arresto, reclama, perciò stesso, un’ontologia singolare-plurale, capace di dire i diversi che ripetono il senso16. L’Essere dell’ontologia classica divenendo intrinsecamente plurimo si movimenta in un processo ininterrotto di creazione di ontologia: l’Essere Singolare Plurale istruisce un pensiero del novum capace di superare la fissità logica dell’Essere astratto dal mondo.
Le Muse sono tante; tutte insieme non rappresentano un concetto predicativo di arte, bensì l’intrinseca postazione figurale, antecedente a ogni astrazione logica, del complesso politeista delle parti. L’arte è più antica della filosofia e della religione, ciò in ragione di un’evidenza pre-razionale che antepone l’immagine a qualsivoglia struttura speculativa17.
Il Paganesimo antico produceva da se stesso un’epifania molteplice di forme, coesistenti eppure diverse, correlate ma singole: gli dei, gli eroi e le Muse sono sempre in tanti. Le arti per i Greci erano numerose, nell’ipotesi minima nella quantità dei sensi dalle quali si originavano. Le Muse erano, e restano, i corpi sensibili di questa varietà politeista dell’immagine. Nancy ha consacrato a queste deità un volume sul nesso tra arte e pluralità18 immaginando la molteplicità originaria di queste figure di presentazione dell’arte come acclimatazioni del Singolare Plurale dell’Essere. L’arte dunque dai primi vagiti della civilizzazione europea è stata lo spazio emblematico del Singolare Plurale, il regno del senso che impatta i sensi (sempre plurali).
La pluralità delle Muse invalida, molto prima che la filosofia lo intenda, lo statuto unitario dell’Essere (e dell’Opera d’arte):
Ci sono le Muse, non la Musa. Il loro numero è stato variabile, come i loro attributi, ma le Muse sono sempre state più d’una. È questa origine multipla che deve interessarci, ed è anche la ragione per la quale le Muse, come tali, non sono il nostro argomento: prestano solo il loro nome, questo nome improvvisamente moltiplicato, così da dare un titolo alla domanda: perché ci sono più arti e non una sola?19.
Le arti sono plurali, sono nel numero innumerabile delle singole opere d’arte. Le Muse appaiono pertanto chances per affermare la potenza reticolare del mondo e modi di dire l’accesso intimo alla pluralità dell’origine che distingue, spezzando l’astrazione logica in innumerevoli punti dotati di carica eccentrica, le Personae. Le Muse concedono alle cose di farsi immagini, ai soggetti di divenire Singuli, all’Essere di delinearsi dall’essere-con. Tali Figure divine possiedono lo statuto di facce ontologiche del Soggetto, immagini. La sussistenza dell’arte nella complessità dei suoi Volti invita L’Io dell’artista e il Cogito dello spettatore a perdere la propria individualità per accasarsi nella casa musica20.
Le Opere d’arte infatti sostano nel perimetro dell’idea di arte esclusivamente per muovere in punti di condensazione, le Personae, la potenza invasiva dell’immagine.
Ci sono sempre più arti, giacché l’astratto dell’idea abbandona la filosofia alle sue produzioni: l’arte è plurale perché non esiste che nelle opere d’arte.
Il discorso estetico di Nancy coinvolge la complessità della filosofia che si fa immagine rinunciando all’astrazione logica del concetto (analitica) e dell’idea (spirituale).
Da questo momento la filosofia si fa arte del pensiero, i soggetti operatori dell’arte. Nuove piste si schiudono e le porte sono senza accesso, aprono su un intimo esposto, su concetti che non sono idee, bensì singolarità parlanti, nomi propri21. L’enunciare che coinvolge l’Essere in un corpo sensibile sussiste nella sua presentazione attoriale senza precipitare nella rappresentazione che pone innanzi l’Essere come un semplice objectum sul quale avviare un’indagine strumentale22. L’arte e i suoi dispositivi di presentazione dispongono la fine dell’ontologia classica costruita sul dissenso, ora sanato, tra Soggetti e oggetti, Essere e cose.
Un Essere volto è l’Essere Singolare Plurale che come l’antica maschera della tragedia greca si risolve nella sua apparenza, gioca la sua mostra, è già ciò che sarà: opera d’arte che genera se stessa23.
Dott.ssa Chiara Tinnirello
Prof.ssa di Estetica, Accademia Di Belle Arti Val di Noto, Noto (SR). Laureata presso l’Università degli studi di Catania.
Chiara Tinnirello è nata nel 1981. Si è laureata in Filosofia e
specializzata in Storia della Filosofia presso la Facoltà di Lettere e
Filosofia dell’Università degli Studi di Catania. Ha elaborato due
lavori di tesi sul pensiero di Ernst Jünger. Attualmente insegna
Estetica presso l’Accademia Di Belle Arti “Val Di Noto”, Noto (SR).
Si occupa di Estetica, Filosofia teoretica e Filosofia contemporanea,
studiando le disposizioni figurali nel pensiero di autori come
Nietzsche, Jünger, Deleuze, Sloterdijk. Si interessa dei legami
mimetici tra arte e filosofia.
Pubblicazioni: Il teatro del concetto. Nietzsche e il dispositivo figurale, A & B, Acireale-Roma 2009.
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Nancy, Jean, Luc, La comunità inoperosa, tr. it. A. Moscati, Cronopio, Napoli 2003.
Nancy, Jean, Luc, Corpus, tr. it. (a cura di) A. Moscati, Cronopio, Napoli 2004.
Nancy, Jean, Luc, Noli me tangere. Saggio sul levarsi del corpo, tr. it. F. Brioschi, Boringhieri, Torino 2005.
Nancy, Jean, Luc, Le Muse, tr. it. C. Tartarini, Diabasis, Reggio Emilia 2006.
Nancy, Jean, Luc, Tre saggi sull’immagine, tr. it. A. Moscati, Cronopio, Napoli 2007.
Nancy, Jean, Luc, La dischiusura. Decostruzione del cristianesimo I, tr. it A. Moscati e R. Deval, Cronopio, Napoli 2007.
Nancy, Jean, Luc, La nascita dei seni, tr. it. G. Berto, Cortina, Milano 2007.
Aristotele, Metafisica, a cura di G. Reale, ed. testo a fronte, Bompiani, Milano 2000.
Deleuze, Gilles, Nietzsche e la filosofia e altri testi, tr. it. F. Polidori, tr. it. dell’appendice, Pensiero Nomade, di D. Tarizzo, Einaudi, Torino 2002.
Deleuze, Gilles, Logica del senso, tr. it. M. De Stefanis, Feltrinelli, Milano 2005.
Deleuze, Gilles, Differenza e Ripetizione, tr. it. G. Guglielmi, Cortina, Milano 2005.
Derrida, Jacques, Toccare, Jean-Luc Nancy, tr. it. di A. Calzolari, Marietti, Genova 2007.
Foucault, Michel, Che cos’è un autore in, Scritti letterari, tr. it. C. Milanese, Feltrinelli, Milano 2004 (pp. 1-21).
Heidegger, Martin, Sentieri interrotti, tr. it. P. Chiodi, La Nuova Italia, Firenze 1968.
Heidegger, Martin, Saggi e discorsi, tr. it. e intr. G. Vattimo, Mursia, Milano 1991.
Nietzsche, Friedrich, La Nascita della tragedia dallo spirito della musica, volume III tomo I (a cura di) G. Colli e M. Montinari, tr. it. S. Giammetta, Adelphi, Milano 1982.
Sgalambro, Manlio, Del pensare breve, Adelphi, Milano 1991.
Sloterdijk, Peter, Non siamo ancora stati salvati. Saggi dopo Heidegger, tr. it. A. Calligaris e S. Crosara, Bompiani, Milano 2004.
Tinnirello, Chiara, Il teatro del concetto. Nietzsche e il dispositivo figurale, A&B, Acireale-Roma 2009.
Fecha
de recepción: 10 de marzo de 2009
Fecha
de aceptación: 14 de abril de 2009